sabato 3 maggio 2008

Malanimo


Presi possesso dell'aula di studio. Trovai lì una cinquantina di furfanti, montanari paffuti dai dodici ai quattordici anni, filgi di mezzadri arricchiti, spediti a scuola dai genitori che volevano farne dei piccoli borghesi, a centoventi franchi al trimestre. Rozzi, insolenti, parlavano tra loro un grossolano dialetto del Cevenne di cui non capivo nulla, e avevano quasi tutti quella bruttezza tipica dell'infanzia che si trasforma, grosse mani rosse, piene di geloni, voci da galline raffreddate, lo sguardo abbrutito e, come se non bastasse, l'odore del collegio. Mi odiarono subito, senza conoscermi. Per loro ero il nemico, il secondino, e dal giorno in cui mi sedetti in cattedra, tra di noi fu la guerra, una guerra continua, senza tregua, ogni istante.

Ah! Crudeli bambini, quanto mi fecero soffrire!
Vorrei parlarne senza rancore, queste pene sono così, lontane! E invece no, non posso; e, guardate un po', nel momento stesso in cui scrivo queste righe sento la mano tremarmi di febbre e di emozione.
mi sembra die ssere ancora lì.
(...)

E' così terribile vivere circondato dal malanimo, avere sempre paura, essere sempre sul chi vive, sempre armato, è così terribile punire - si fanno ingiustizie anche senza volerlo -, così terribile dubitare, vedere ovunque tranelli, non mangiare tranquilli, non trovare riposo nel sonno, pensare sempre, anche negli attimi di tregua: "Ah mio Dio, cosa mi faranno adesso?"

Alphonse Daudet, cit in Pennac, Diario di Scuola

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